Regalo di un fratello

L'isola che c'è
Chiudete gli occhi. Immaginate una valle, una piccola valle nascosta, circondata da boschi di roveri, silenziosa, dove anche il vento l'accarezza dolcemente e la lascia riposare. Una valletta celata da sguardi indiscreti, protetta, nascosta dal caos frenetico della città... Lontana dalle moltitudini che quotidianamente rincorrono uno status deciso da altri, schiave loro stesse di una condizione di non appartenenza. Adagiata ai piedi della minuscola valle una piana, una piana al primo sguardo dolce, verde, sicura. Lentamente però osservandola con più attenzione ci si accorge che essa è troppo grande per una carezza di colline appena accennate, una piana importante contenuta a fatica da una corona di terra e roccia, querce e roverelle. Inchiodati, sprofondati con la forza del cemento una linea di capannoni giganteschi la occupano per gran parte, ecco, svelato forse il mistero di tale ampiezza, la piana ha le dimensioni misurate da migliaia di metri quadri di pareti, feritoie di metallo gelido, pavimenti umidi e bui, tetti che sfidano il cielo a una guerra a cui nessuno voleva partecipare. Chiudete gli occhi. Toccate le pareti, appoggiate le mani e dopo un attimo verrete travolti.

Comincerete a sentire i rumori di fondo, a una prima superficiale lettura sembrano un infinito stormo di anatre selvatiche che riunite balzano per un ultimo saluto prima di emigrare verso lidi piu' caldi, sicuri. Animali liberi che dialogano allegri preparandosi a un lungo viaggio. Ma questa sensazione di pace svanisce velocemente. Più l'orecchio si tende, come un arco consumato da troppi schiocchi, e più si ha la sensazione che quei rumori di fondo non siano poi così rassicuranti. Ogni secondo trascorso con le mani sulle pareti amplifica il disagio innalzandolo a tali frequenze che i timpani cominciano a sanguinare, no, non è uno stormo che posa la sua dolce ombra sui campi sottostanti, non sono suoni che ti invitano a riposare ma sono grida, urla che non danno scampo. Decine, centinaia, migliaia di grida esplodono come un temporale minaccioso. Un terrificante, violento e innaturale temporale ti strappa il fiato lasciandoti senza voce, i polmoni sussultano, cercano ossigeno in una disperata corsa verso un cuore che ha già capito tutto. Ti fermi, rimani bloccato, le gambe non acconsentono più a seguirti, ti sono nemiche, vogliono solo voltarsi e scappare via. Fai uno sforzo immane per rimanere in equilibrio, ti appoggi alla parete ma ecco che vibra per l'onda d'urto di un dolore passato, un terremoto di piume fradicie, ali incastrate, becchi tagliati, zampe spezzate. Calma !, calma...., riprendi il respiro, ti sforzi di pensare ad altro, guardi in alto, una piccola rondine passa velocemente in piccoli cerchi, si avvicina, sente il buio della vita che trasmetti e in un battito frenetico scappa via. Ansimi, la frequenza sale, il tremore delle mani non accenna a smettere, le osservi, non riesci a dare un freno ai singhiozzi, stringi le labbra in un ultimo morso di coraggio e poi urlando con l'ultimo fiato che hai in gola chiedi scusa, scusa, scusa. Squarciando il tuo petto cerchi di respirare, abbassi gli occhi, serri i pugni e violenti le tue gambe che non sentono l'impulso a muoversi, poi, ti concentri sul bosco circostante, si, hai una via di fuga, ormai sordo dai lamenti ti tendi come una molla e scompari, scappi via.....stacchi le mani. Chiudete gli occhi. Capannoni nascosti, lager impenetrabili che si aprono e si chiudono solo per fare caricare e scaricare migliaia di vittime, la loro unica colpa essere degli oggetti, delle cose, della carta straccia. Vittime costrette a sopravvivere ammassate senza aria, ferite, umiliate e torturate per ingrassare individui feroci e accontentare la gola di altri. Migliaia di piccoli esseri privati non solo della libertà, della vita, della loro natura ma insultati anche da morti, scherniti, presi a calci. L'olocausto dura mesi, anni, poi si ferma, viene fermato, nessuna dittatura è eterna. Adesso, aprite gli occhi. L'erba ha acquistato un verde brillante, spacca il cemento creando fessure sempre più larghe. Decine di animali: colombi, capre, pecore, mucche, galline, maiali, cinghiali e altri fino a poco tempo prima segregati respirano spensierati tra i corridoi dei lager, inconsapevoli del dramma che quelle pareti hanno testimoniato, ma portatori loro stessi di altri drammi, altri lager. Timidi si affacciano alla piana e dopo un ultimo sguardo fugace si lasciano trasportare dall'aria profumata di una nuova primavera. Un piccolo laghetto traspira umidità, le sue acque un tempo marce di morte sono finalmente limpide, placate. Piccoli alberi da frutto riposano all'ombra di colline liberate, una leggera sinfonia di saltelli accompagnano un torrente simbolo di una rinascita. Spalancate gli occhi. Questo non è un sogno, una fiaba per costringerci a vivere di fianco alla sofferenza, per non pensare, o un incubo che ci attanaglia le notti insonne, ma è realtà. Questo angolo di terra, questa valletta strappata alla violenza esiste. La chiamerei “l'isola che non c'è” ma non posso questa isola è palpabile, è presente. Nascosta da una cintura di alberi complici, da profumi delicati di fiori di collina, da rumori familiari, semplici, sereni, finalmente sereni. Abitata da animali umani e da animali non umani, insieme, rispettandosi e imparando da ognuno nuove esperienze. Qui gli animali non vengono acquistati per uno stupido concetto di liberazione, qui vengono strappati dalle morse del sistema. Ormai e' mattina devo partire, un ultimo sguardo alla piana, ai suoi colori e poi mi volto, respiro profondamente, le sensazioni di comprensione qui hanno un senso. Mi allontano, non mi accorgo che qualcuna mi sta osservando, tranquilla, le ferite ormai rimarginate da tanto tempo, una forza di tale portata che intimidisce, una testimone diretta dell'ecatombe, l'ultima sopravvissuta all'infinita, assurda giostra del dolore. Poi una sensazione, mi volto e la vedo, riesco a salutarla, ora riesco a sorridere, ora riesco a respirare... <Ciao Giorgina, ciao piccola> All'orizzonte si staglia una piccola nuvola, sembra quasi abbia la forma di un cuore, chissà mi dico, forse anche le nuvole vogliono chiederti scusa... Olmo 25 febbraio 2016

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